Università
della
Svizzera
italiana
Accademia
di architettura
Laboratorio
di Storia
delle Alpi

 
 

Panel Nutrire le città attraverso le pianure e le montagne

12.12.2019

 

Le città sono state sempre nutrite anche dai territori rurali, di pianura o di montagna, dove lavorava la popolazione contadina che quotidianamente entrava in relazione con gli abitanti delle città.

Il quadro dell’agricoltura medievale si presenta ai nostri occhi come caratterizzato da elementi di diversità e complessità che comprendevano pratiche di agricoltura urbana, all’interno (orti, vigneti) e all’esterno delle mura (agricoltura periurbana), permacoltura, associazioni colturali, utilizzo dell’alteno, coltivazioni dei boschi e nei boschi, utilizzo di questi ultimi per il pascolo del bestiame e, per quanto riguardava il tema del controllo delle risorse, una molteplicità di strumenti di proprietà, di possesso, di affitto e di usufrutto che andavano dalla proprietà privata (tendenzialmente non assoluta), alla gestione collettiva delle risorse naturali e agricole da parte dei comuni rurali e urbani.

La complessità generata da tutti questi strumenti – associata alla possibilità fornite dalla caccia e dalla pesca – garantiva in età medievale un migliore accesso al cibo di quanto non sarebbe accaduto in altre fasi della storia, come è evidente dalla crescita demografica costante che arriva fino alla metà del XIV secolo, ma poteva mutare laddove si sviluppavano specializzazioni colturali indirizzate al mercato.

 Ciò avvenne in modo sempre più evidente dopo la fine del medioevo, sia in virtù di nuove colture che vengono introdotte (si pensi alla coltivazione del riso che passa dalla farmacopea alla cucina), sia come conseguenza delle necessità degli Stati regionali che richiedono quantitativi di legname sempre maggiori per rispondere alle esigenze dell’edilizia e della cantieristica militare.

La spinta a una agricoltura “razionale” che si diffonde alla fine del Settecento, con la prima e la seconda Rivoluzione industriale assumerà sempre più una dimensione industriale – anche in relazione alle necessità di una popolazione sempre più numerosa –, disgregando un tessuto produttivo caratterizzato da alti livelli di biodiversità e di specificità regionali ma anche le risorse economiche fornite dalla piccola e piccolissima proprietà terriera ai redditi familiari.

Per contro, durante il XIX secolo, la distribuzione delle risorse alimentari tese a migliorare e il loro costo – che rappresentava una porzione rilevante del reddito individuale – a calare.

L’uso della chimica in agricoltura garantì alte rese e il suo abuso associata all’abuso di colture estensive e di monocolture industriali, alti tassi di inquinamento.

Dopo la “rivoluzione verde” degli anni Sessanta del Novecento e nell’epoca attuale post-moderna sono sorti proprio attorno alle città movimenti spontanei di critica al modello agronomico capitalistico che ripropongono un modello di alimentazione dell’urbe legato a concetti quali il “chilometro zero”, il biologico, i gruppi di acquisto.

In questa fase della storia contemporanea si manifesta una contraddizione palese: da un lato più della metà della popolazione mondiale vive in contesti urbani spesso inospitali e, nel contempo, le proposte e le pratiche di pianificazione stanno suggerendo nuove soluzioni sostenibili all’inurbamento globale.

In alcune città italiane ed europee, infatti, si sta attribuendo nuovamente una funzione sociale e produttiva ai territori agricoli di prossimità o ai terreni incolti e abbandonati (demaniali o privati) per i quali si tentano riconversioni, proponendo nelle città dei momenti di incontro (mercati, giornate dedicate, progetti a lungo termine) tra produttori e cittadini e progetti di scambio tra prodotti agricoli certificati e una valorizzazione di abitudini alimentari sane e sostenibili.

C’è una rinnovata attenzione che per i beni di uso civico visti anch’essi come una possibilità nuova di valorizzare i territori rinnovando tradizioni antiche che permettano la riscoperta di socialità diffusa e di pratiche economicamente ed ecologicamente efficaci.

C’è una rinnovata attenzione ai territori alpini e di montagna, aree nelle quali si sono mantenute sia pratiche di gestione collettiva delle terre, sia la biodiversità, sia delle specificità produttive locali che vengono oggi ritenute un elemento in grado di attirare i consumatori.

Date queste premesse è possibile illustrare attraverso esempi, casi di studio e progetti come le pianure e le montagne nutrivano e nutrono le città? È possibile, su tali basi, immaginare lo sviluppo nel prossimo futuro di questa relazione anche a fronte di nuove proposte colturali (per es. le colture idroponiche)?

Quale modello di sviluppo pre-capitalistico o post-capitalistico si può intravvedere dietro le scelte attuali degli agglomerati urbani – soprattutto quelli più innovativi – in relazione all’approvvigionamento alimentare?

Modelli del rapporto tra città e mondo rurale distanti nel tempo, possono avere dei punti di contatto?

L’antropologia nella sua accezione applicata, collaborando con altre discipline (storia, sociologia, pianificazione urbanistica), può dare un apporto alle politiche di sviluppo verso una sostenibilità ambientale e colturale diffusa?

I progetti in corso di valorizzazione urbana delle campagne e di agricoltura cittadina, sono solo una utopia o possono avere una possibilità di successo?

Queste domande a largo spettro – e altre che possono nascere dalla lettura del testo del panel – vengono rivolte a storici, antropologi, sociologi e urbanisti che vogliano condividere i loro studi in un dibattito a più voci che, partendo dai dati storici, possa permettere di comprendere fenomeni attuali molti diversi fra loro.

 

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